Ogni tempesta comincia con una singola goccia.

Un anno fa, il 18 marzo 2019, moriva Lorenzo Orsetti “Orso” Tekoşer, combattendo contro l’esercito invasore turco-jihadista nel villaggio di Al-Baghuz nell’est della Siria.

La sua storia ormai la conosciamo bene tutte e tutti. Nei mesi successivi alla sua morte l’abbiamo vista raccontata in televisione, sui giornali, nelle parole di suo padre, de suoi amici e amiche, delle sue compagne e compagni.

Abbiamo letto la sua lettera d’addio e abbiamo tracciato in fondo al petto quelle parole che riassumevano così bene la sua esistenza su questa terra e che consegnavano a noi, vivi, un lascito di speranza e di responsabilità enorme.

“Ogni tempesta comincia con una singola goccia”. La tempesta della rivoluzione, per la distruzione di un sistema ingiusto e la rinascita, da quelle ceneri, di un mondo in cui tutti gli esseri umani hanno il diritto di vivere liberi.

Tante e tanti di noi sognano questo mondo migliore, tante e tanti lottano ogni giorno, con i mezzi di cui dispongono, contro le ingiustizie che reggono quest’altro in cui viviamo, il mondo del capitalismo e del patriarcato, in cui si nasce e si muore soli e in cui il diritto a una vita degna è nelle mani di pochi padroni che sfruttano e avvelenano tutto quanto li circonda, i propri simili, lo stesso pianeta in cui viviamo.

“Cercate di essere voi quella goccia” scriveva Orso. Lui, la rivoluzione, l’aveva vista nel Nord-est della Siria, nel progetto di una società confederalista basata sul socialismo, il femminismo e l’ecologismo, in cui tutte e tutti partecipano delle decisioni politiche e in cui lo Stato non esiste.

Orso era un anarchico e un antifascista ed era partito per la Siria per difendere quella rivoluzione, impugnando le armi accanto a migliaia di altre compagne e compagni curdi, turchi, turcomanni, assiri, yezidi, armeni, internazionalisti come lui: tutte e tutti uniti nello stesso respiro comune – prima contro lo Stato Islamico e poi contro l’avanzata del suo più grande sostenitore, la Turchia di Erdogan.

Undicimila combattenti rivoluzionari/e sono morti, dallo scoppio della guerra civile siriana ad oggi, per garantire una vita migliore a tutte e tutti.

Una vita migliore non solo in Rojava e neppure solo in Siria. Il progetto del confederalismo democratico non offre soltanto un’alternativa politica nel contesto mediorientale – una “terza via”, né con i dittatori né con i jihadisti – ma una proposta di rivoluzione sociale, un’alternativa per il futuro della vita umana nel suo complesso, quando il capitalismo mostra le sue conseguenze estreme nella putrefazione del mondo in cui viviamo.

Per questo diciamo che la rivoluzione del Rojava è la nostra rivoluzione, per questo tante e tanti internazionalisti hanno donato la loro vita per difenderla in un gesto di amore estremo che non potrà mai essere dimenticato.

Anna Campbell, şehid Hêlîn Qerecox, morta il 15 marzo 2018 durante l’invasione turca di Afrin. Alina Sánchez, şehid Legerin Ciya, morta il 17 marzo 2018 a Heseke.

Nelle parole di Anna Campbell: “L’internazionalismo è un pensiero politico che significa che chiunque porta avanti una lotta per la libertà ha il dovere di lavorare non solo per la liberazione del proprio popolo o del proprio territorio, ma per tutte e tutti coloro che lottano. Se ami abbastanza il tuo popolo da combattere e morire per esso (e credo che lo si debba essere, per essere dei rivoluzionari), ami anche popoli lontani, abbastanza da lottare e morire per essi, pur senza averli mai conosciuti”.

La solidarietà umana che attraversa e rompe le frontiere create dagli Stati, è ciò che ha spinto tante e tanti a dirsi internazionalisti e agire come tali, in Siria in questo decennio, ma in tutto il mondo e in tanti momenti della storia, sempre.

Gli Stati, con i loro apparati repressivi, cercano con ogni mezzo di sopprimere e spegnere questa scintilla luminosa che mina il sistema stesso alle radici e che fa divampare ovunque ribellioni e lotte contro le ingiustizie, scintilla che mai si spegne e mai si spegnerà.

Lo Stato italiano, che ieri incensava i combattenti anti-Isis e che spendeva poche e false parole su Orso, oggi condanna alla sorveglianza speciale Eddi, combattente italiana nei gruppi di difesa della donna – YPJ, colpevole di essere attiva nelle lotte contro le ingiustizie sociali in Italia.

Colpevole di essere tornata viva dalla Siria, quando sarebbe stato più comodo che lei, femminista e antifascista, morisse lontano come Orso e non tornasse per tornare a fare quello che aveva sempre fatto, e cioè lottare per una società più giusta in questo Paese tanto quanto in Siria.

Per Orso Tekoşer, per Hêlîn, per tutte le internazionaliste e gli internazionalisti, per tutte le compagne e i compagni caduti martiri combattendo per un mondo migliore. Porteremo per sempre con noi il vostro ricordo e cercheremo con tutte le forze di seguire l’esempio delle vostre vite.

Per chi ancora oggi continua a combattere.

“Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m’intendi? Uguale al loro, va perduto, tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi.

L’altra è la parte dei gesti perduti, degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell’odio, finché dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi”.

Şehîd namirin.
Serkeftin!